martedì 3 dicembre 2013

Miracoli - War is (almost) over


In guerra, Wilson aveva visto succedere le stesse cose. Certi uomini cambiavano più che se avessero perso la verginità. La paura se ne andava come dopo un’operazione. Al suo posto cresceva un’altra cosa. La cosa più importante che avesse un uomo. Che ne faceva un uomo. Anche le donne lo sapevano.
Più nessuna paura

Ernest Hemingway.

Per la prima volta, qualche settimana fa, mi sono messo qui alla scrivania e ho scritto. É venuto fuori un racconto sulla felicità. In realtà, quel racconto era per dire che la felicità dovrebbe essere dichiarata illegale, che dovremmo armarci di filo spinato e mitra contro questa parola, che dovremmo stare in guardia contro i portatori sani di felicità.
Solo allora, forse, potremo essere felici.

Camminavo, nell’aria del mattino da dopoguerra, che sapeva di pessima colonia e pioggia che sta per arrivare e coprirci tutti, felici e infelici, e anche quelli che non sanno che farsene della felicità.
Ricordavo quell’altra mattina, quando stavano per portarmi via e vedevo la luce del sole, raggiante e stupido, passare attraverso la finestra. Guardavo quella luce che irrideva e rassicurava, ed era come addormentarsi da piccoli con la tv accesa, sapendo che niente sarebbe successo e la tv sarebbe stata ancora accesa una volta sveglio, e ci sarebbe stato qualcos’altro da guardare.
Poi qualcuno spense la tv e il mio letto cominciò a muoversi verso la sala operatoria.

Ci sono cambiamenti che sono meno evidenti agli altri. Non è solo l’occhio. Le mani, per esempio, non tremano più. Erano state tutte le medicine che ho preso in questo anno. Adesso riesco a tenere senza problemi una penna in mano. Mi sembra che le poesie mi vengano anche meglio.
Anche il sonno è migliorato, ma lì non credo sia un discorso di medicine.

La gente intorno a me è diversa. Sono passati dalla pena al “Beato te!” con la velocità che ha un politico nel cambiare schieramento. Loro funzionano così, bianco o nero. Quando avevo la benda e dicevo di stare bene, non mi credevano. Adesso che non la porto più, sembra che non debba mai avere momenti di down. Ognuno tira una linea e ci dice come dovremmo sentirci.
Per quanto mi riguarda, ogni volta che sento un “Beato te!” sorrido. Mi sembra l’unica cosa possibile.
Assieme a quella di giurare di non dirlo mai a nessuno.


Ho fatto l’albero di Natale, con un anticipo quasi ridicolo. E sì, molto è dovuto alla mia strana ossessione per il Natale –per anni fortemente odiato, cenoni in famiglia in primis. Ma l’albero, le lucette e tutte quelle stronzate lì mi piacevano, mi piacciono. Mi sembra un buon modo per rallentare il tempo, per tornare ad altri passati che, se non più felici, fanno comunque parte di me.
Ma non l’ho fatto per questo, adesso. L’ho fatto per festeggiare, con uno stupore quasi bambinesco, il fatto di essere qui e poterlo fare. Poter accendere le luci e starle semplicemente a guardare, magari scolando una bella Guinness. Lo prendo come un promemoria: mi ricorda di essere grato, di star su, e di perdermi ancora in questi attimi senza tempo e senza senso, perchè forse un senso ce l’hanno anche loro. E forte.

Ho camminato senza fretta dalla fermata del bus. Non avevo le cuffie. Era primavera, e volevo annusarla e ascoltarla fino a non poterne più.
Una volta giunto davanti all’edificio, che sembra più un museo che un ospedale, l’ho guardato per un attimo e ho pensato: questa è la prima volta che lo sto vedendo senza la mia solita benda all’occhio. Sembrava un dettaglio di poco conto, così come io sembravo uno dei tanti visitatori del pomeriggio. Ma nessuna di queste cose era era vera.
Ormai ero una presenza abituale, anche se a quelle mura, in fondo, non ci si abitua mai. Sai fin troppo bene cosa succede dietro quelle porte, per poter star sereno. Ma tu ci sei passato, tu hai fatto il tuo e ne sei uscito, come Andy Dufresne in “Le ali della libertà”. Un evaso pronto a lasciarsi andare al sole e al mare.
Il dottore che mi ha visitato era il più scorbutico di tutti. Eppure, nemmeno lui si è risparmiato su quella parolina che ho sentito spesso in quel luogo di calcoli e formule esatte.
Miracolo.
É un miracolo, mi ha detto. Dovresti esserne contento, ha aggiunto. Io mi sono limitato a fare di sì con la testa, ma probabilmente in faccia avevo schiaffato il più ebete dei sorrisi.
Alla fine della visita mi ha detto senza guardarmi, non serve che torni più qui. Un po’ me l’aspettavo. Eppure, quando sono andato oltre il banco, dopo aver salutato tutte le infermiere, preso l’ascensore, mi sono fermato un attimo fuori da lì, e l’ho guardato. Ho guardato quel posto, e ho pensato quello che ho pensato.
Ero fuori.
Ero pronto alla mia spiaggia.

Tra 2 settimane, tornerò in Italia. Chiuderò così questo anno che, proprio alla fine, sta provando a farsene perdonare qualcuna. Sono felice che stia finendo, e sono felice di finirla proprio lì, e proprio con quelle persone. Un cerchio che si chiude? Non ho visto tanti film. Una guerra è pur sempre una guerra. Bisogna dargli il suo tempo, farsi baciare le cicatrici dal sole, fare l’amore sulle macerie. In direzione ostinata e contraria, ma seguendo i movimenti del vento. Seppellire quel che c’è da seppellire, e poi cominciare a ricostruire.
Eppure ci sono persone che mi aspettano oltre quest’oceano, e altre che attenderanno il mio ritorno.
E anche questo è un bel miracolo.

Quando sono tornato dall’ospedale, quell’ultima volta, sono entrato in casa, ho lasciato la borsa per terra, messo la musica a palla, e ho cominciato a ballare.
Ho ballato in una casa che era solo mia, in una vita che era di nuovo mia. Ho ballato finchè non ce l’ho fatta più, e poi ho ballato un altro po’.
Non so cosa sia questa felicità, ma ci sono andato maledettamente vicino, quel giorno.
Ho ballato tra feriti e rovine. La guerra è finita, mi dicevo. La guerra è stata feroce, tremenda, ma qualcos’altro è stato più forte.
Qualcun altro, lo è stato.
Ho continuato a ballare.


Sono cresciuti dei fiori nel mio giardino. Me ne sono accorto solo l’altro giorno. Non erano previsti, sono venuti su per errore, hanno resistito a tutti cambiamenti di tempo.
E sono bellissimi.



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