martedì 14 maggio 2013

Il giorno che ho quasi perso il mio amico


Il giorno che ho quasi perso il mio amico, mi bruciava. E non per tutte le cose che, nel repertorio dei coccodrilli, avrei voluto dirgli – che era buono, intelligente, gentile e generoso, le banalità che tutti quelli che se ne vanno si sentono dire.

No, questo no. Mi bruciava l’anima e mi rodeva la vita per le cose che sentivo c’erano ancora da fare insieme.

Non era il momento. E se di destino si trattava, beh aveva proprio un tempismo del cazzo e lui, in anticipo di dio sa quanti decenni, poteva tornarsene ad aspettare dietro a un lampione, in un angolo dove l’avremmo incrociato a tempo debito.

Non era tempo, dicevo, e le lacrime per questo non scendevano. Al di là del dramma che in gruppo stavamo vivendo, in fondo il presentimento che ci fosse un errore, o che una sveglia sarebbe suonata fuori dalla quella sala d’attesa di neurologia, non mi lasciava.

All’estero si vive in branco, forse perché la maggior parte del tempo la si passa a brancolare nell’incertezza di una realtà che non conosciamo. Ci scegliamo, a uno a uno, entriamo nella vita dell’altro portandoci dietro il codazzo dei nostri gregari.

Così allarghiamo le fila del gruppo che non ti pianta al chiodo, neanche quando sei felice e non ti serve nessuno, e fa le veci, per quanto possibile, della tua famiglia naturale.

A stare di piantone, fuori dalla porta oppure al letto della camera di M, eravamo tanti, per lo piu’ ragazze, unico escluso Mauro, “la quota blu” come ebbe a dire proprio M.

Tutti rapiti in un momento surreale in cui il risultato di una partita che non stava a noi giocare cambiava di giorno in giorno. I dottori non capivano di cosa si trattasse e non lo tenevano nascosto, spingendoci in un’altalena delirante, tra sollievo e disperazione.

Quando alla fine si capì che un incubo era stato, tutti eravamo consapevoli di aver subito una metamorfosi. M, per primo. Non a tutti capita di avere una seconda mano da giocare, toccava ora spendersela bene.

Il giorno che ho quasi perso il mio amico, l’ho perso per sbaglio. Per una diagnosi mancata e che ha tardato a correggersi.

Ma l’ho perso e ritrovato.

Il destino dice che ci aspetterà a un angolo, dietro a un lampione, ma quello che importa sarà lui ad aspettarci, quando avremo voglia di andargli incontro, insieme.

M.


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